L’Europa al bivio: l’ora della Brexit si avvicina
Mancano pochi mesi alla scadenza dei termini per la negoziazione di un accordo tra Unione Europea e Regno Unito per garantire la salvaguardia delle relazioni politiche, economiche e civili prima dell’entrata in vigore della Brexit e ad oggi ancora non sembra esserci un orizzonte definito.
Brexit
Da quando il referendum inglese del 16 novembre 2016 ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, sono iniziati e proseguiti senza sosta i negoziati internazionali tra i governi britannici e le istituzioni europee. Entro il 29 marzo del 2019 sarà necessario giungere a un accordo firmato e sottoscritto per evitare una “hard brexit”, ossia la risoluzione di ogni tipo di relazione politica ed economica senza alcun paracadute.
I temi sul tavolo sono molteplici. Innanzitutto, i diritti dei cittadini: un milione di britannici residenti nel continente e tre milioni di europei nelle isole rischiano di trovarsi da un giorno all’altro senza uno status oggi garantito dal fatto di essere nell’Unione. Poi c’è la questione dei trasporti, con gli aerei di bandiera britannica che non avrebbero più la possibilità di atterrare nell’Unione in mancanza di un accordo.
Fin dall’inizio dei negoziati per la Brexit, i servizi finanziari internazionali sono stati un nodo cruciale nelle trattative. Londra vuole un accordo che consenta alle società finanziarie britanniche di continuare a operare in Europa, in particolare per proteggere il centro finanziario della City. Questa opzione è stata però a lungo respinta da Bruxelles che punta a preservare la cosiddetta “indivisibilità” delle libertà del mercato unico, che il governo britannico vorrebbe limitare, e che vincola la libera circolazione di servizi e capitali a quella delle persone.
Il futuro del mercato finanziario
Proprio quest’ultima questione sembra essere al centro delle preoccupazioni di queste settimane. Gli analisti finanziari, infatti, stanno cercando di capire cosa potrebbe succedere nel caso in cui Regno Unito e Unione Europea non dovessero giungere a un accordo condiviso. Continuano così a susseguirsi in questi giorni notizie di accordo e successive smentite da parte del governo britannico.
Theresa May has struck a deal with Brussels that would give UK financial services companies continued access to European markets after Brexit https://t.co/cRzBRVnOih
— The Times of London (@thetimes) 1 novembre 2018
Secondo il Guardian, una Brexit caotica e disordinata avrebbe conseguenze dannose per l’economia britannica, per esempio innescando ritardi alle frontiere e impedendo l’atterraggio di aerei dall’Ue. L’Office for Budget Responsibility ha dichiarato che un distacco della Gran Bretagna dall’Ue senza un accordo entro i prossimi mesi potrebbe nuocere alla crescita economica e comportare un accumulo di merci per le famiglie e le imprese, innescando un forte calo del valore della sterlina.
La Banca d’Inghilterra ha espresso tutta la sua preoccupazione dichiarando che «le prospettive economiche dipenderanno in modo significativo dalle modalità di uscita dall’Ue e in particolare delle condizioni degli eventuali nuovi accordi commerciali, dalla fluidità della transizione verso il nuovo scenario e dalle risposte delle famiglie, delle imprese e dei mercati finanziari». Sottolineando l’urgenza della situazione in una dichiarazione del suo comitato di politica finanziaria, la Banca ha affermato: «Nel limitato tempo a disposizione, le società non sono in grado da sole di ridurre completamente i rischi di interruzione dei servizi finanziari transfrontalieri».
Gli inglesi più poveri ancor prima di uscire dall’Ue
Lo scenario di incertezza che abbiamo di fronte è raccontato analiticamente da uno studio di Quartz. Costruendo un modello previsionale, gli analisti hanno comparato le stime sulla crescita inglese con il Regno Unito dentro e fuori dall’Ue.
Quartz ha infatti sovrapposto l’andamento del flusso reale di esportazioni del Regno Unito verso gli altri 28 paesi dell’Unione e l’andamento di quello che secondo le stime statistiche sarebbe stato il flusso di esportazioni dal Regno Unito verso il resto dell’Unione in caso di vittoria del no: come si vede nel grafico sotto, i dati sostanzialmente coincidono fino al punto del referendum, mentre da quel momento in poi la divergenza è evidente.
Lo stesso può dirsi anche per le esportazioni verso i paesi non-Ue che, dal momento del voto, sono fortemente calate rispetto alla crescita prevista se non ci fosse stato il voto sulla Brexit. Anche nei servizi commerciali come viaggi e turismo, servizi di trasporto, istruzione e attività bancarie, i cui prezzi di riferimento sono in dollari, si assiste ad una stagnazione nei 18 mesi successivi al voto.
Dato l’indebolimento della sterlina, le esportazioni britanniche hanno anche subito una svalutazione nei confronti delle valute utilizzate dai partner commerciali (euro per l’Ue, dollari e altre valute per quelle extra-Ue) e di conseguenza consentono di “pagare” un volume minore di importazioni. A causa delle incertezze intorno alla Brexit, la Gran Bretagna sta di fatto perdendo una quota significativa dei mercati globali (in termini di valore) e si ritrova già più povera.
Il destino degli operatori economici
Non sappiamo quale sarà il destino degli scambi commerciali con il Regno Unito ma sicuramente il futuro dei rapporti tra Londra e l’Ue è uno dei temi caldi del momento. Ne parliamo con i clienti, ci confrontiamo tra colleghi. Abbiamo un nostro ufficio a Londra grazie al quale costruiamo quotidianamente relazioni professionali con i clienti inglesi rafforzando quel ponte tra l’isola e il continente che sembra indebolirsi sempre di più.
Ci auguriamo che si arrivi in tempi brevi a un accordo stabile tra governo britannico e Ue che consenta di evitare il ripiego su singoli accordi tra ciascun Stato Membro e la Gran Bretagna, che avrebbe conseguenze inevitabilmente incerte e destabilizzanti.
Regrexit
Secondo uno studio condotto su 20.000 elettori, la Gran Bretagna oggi voterebbe per rimanere nell’Unione Europea. Soprattutto molti giovani e coloro che non sono andati a votare al referendum del 2016 ora voterebbero contro la Brexit.
Nonostante le richieste da parte degli ex primi ministri Tony Blair e John Major, il primo ministro Theresa May ha però ripetutamente escluso l’indizione di un nuovo referendum.
E dopo aver coniato il termine Brexit, gli inglesi iniziano già a parlare di Regrexit. Difficile prevedere cosa succederà in futuro: quel che è certo è che Oltremanica la sensazione di aver preso un enorme granchio è sempre più forte.
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